Ecco il concetto di teatro povero: «Eliminando gradualmente tutto ciò che è superfluo, scopriamo che il teatro può esistere senza trucco, costumi e scenografie appositi, senza uno spazio scenico separato (il palcoscenico), senza gli effetti di luce e suono, etc. Non può esistere senza la relazione con lo spettatore in una comunione percettiva, diretta. Questa è un'antica verità teoretica, ovviamente. Mette alla prova la nozione di teatro come sintesi di disparate discipline creative; la letteratura, la scultura, la pittura, l'architettura, l'illuminazione, la recitazione...»
(Jerzy Grotowski, Per un Teatro Povero)[4]
Grotowski fu un rivoluzionario nel teatro perché provocò un ripensamento del concetto stesso di teatro e del suo scopo nella cultura contemporanea. Una delle sue idee chiave è la nozione del teatro povero. Con questa espressione egli intendeva un teatro in cui la preoccupazione fondamentale fosse il rapporto dell'attore con il pubblico, non l'allestimento scenico, i costumi, le luci o gli effetti speciali. Nella sua ottica queste erano soltanto delle trappole che, se potevano intensificare l'esperienza teatrale, non erano però necessarie ai fini del nucleo del messaggio che il teatro doveva generare. 'Povero' significava l'eliminazione di tutto ciò che non era necessario e che avrebbe lasciato l'attore 'spogliato' e vulnerabile. Applicando questo principio al suo 'laboratorio' in Polonia, Grotowski si disfece di tutti i costumi e dell'allestimento scenico e preferì lavorare con allestimenti completamente neri e con attori che indossavano costumi di prova totalmente neri, almeno nel processo di prova. Fece eseguire agli attori rigorosi esercizi in modo che assumessero il totale controllo dei loro corpi. L'importante per Grotowski era cosa avrebbe potuto fare l'attore con il suo corpo e la sua voce senza aiuti e unicamente con l'esperienza viscerale con il pubblico. In questo senso sovvertì le tradizioni dei costumi esotici e degli allestimenti scenici sbalorditivi che avevano guidato la maggior parte del teatro europeo a partire dal XIX secolo. Ciò non significa che nelle esibizioni teatrali pubbliche egli trascurasse completamente le luci e gli allestimenti, ma che questi ultimi erano secondari e tendevano a fungere da complemento alla già esistente eccellenza degli attori.
A questo concetto di 'teatro povero' Grotowski (un ateo) aggiunse il concetto di 'sacerdozio' o sacralità dell'attore. Quando l'attore entrava nella santità dello spazio scenico in quel momento accadeva qualcosa di speciale, qualcosa di molto simile alla Messa nella Chiesa cattolica. Era in questo spazio, nella sacra relazione tra l'attore e il pubblico che il pubblico veniva sfidato a pensare e ad essere trasformato dal teatro. In tal senso Grotowski è stato una delle figure chiave nello sviluppo del teatro politico del XX secolo. Le sue produzioni teatrali spesso contengono temi politici e sociali. L'attore, dipendente solo dai doni naturali della voce e del corpo, poteva consegnare al pubblico i rituali sacri del teatro e i temi della trasformazione sociale. Il pubblico divenne un pilastro dell'esibizione teatrale, e il teatro diventò più di un semplice intrattenimento: diventò un sentiero verso la comprensione. Il regime di allenamento di Grotowski era designato per:
Eliminare, non insegnare qualcosa (Via Negativa).
Intensificare ciò che già esiste.
Creare tutto ciò che è necessario per la rappresentazione teatrale nel corpo dell'attore, con il minimo utilizzo di materiale scenico.
Promuovere un rigoroso allenamento fisico e vocale degli attori.
Evitare il magnifico se non favorisce la verità.
Momento fondamentale per il regista polacco non è tanto lo spettacolo in sé quanto le prove, nelle quali si viene a creare lo stretto rapporto regista-attore. In occasione de Il Principe Costante (capolavoro del 1965) Grotowski passa mesi in compagnia dell'attore protagonista Cieslak il quale solo in un secondo tempo inizierà a provare con il resto degli attori e ad utilizzare il copione. Il lavoro condotto dalla coppia si basa principalmente sulle azioni fisiche che scaturiscono dal ricordo di un'esperienza giovanile amorosa dell'attore le quali saranno poi applicate alla recitazione finale, col fine di travolgere come una tempesta in arrivo.
Grotowski rimase sempre convinto che il teatro non avrebbe mai potuto competere con il cinema e che il cinema offrisse un'esperienza diversa dal teatro. Voleva portare al pubblico un teatro che stimolasse il confronto, che mettesse alla prova e che coinvolgesse l'esperienza. Era un teatro basato non tanto sull'immagine (come invece avviene nel cinema o nella televisione), ma sulla presenza dell'attore.
Grotowski, dopo la scrittura e la pubblicazione della sua opera, acquisì notorietà e ricevette numerosi inviti a lavorare nelle più importanti scuole di arte drammatica, compagnie teatrali e università in Europa e in America. Molti di questi inviti egli li rifiutò, preferendo, invece, restare con i suoi attori nel suo piccolo 'laboratorio', in una relativa oscurità.
La sua lezione ha influenzato gran parte del teatro italiano contemporaneo, soprattutto la cosiddetta area della ricerca: dai maestri degli anni settanta-ottanta come Gian Carlo Riccardi, Leo De Berardinis, Francesco Mazzullo ai più giovani Roberto Latini, Danio Manfredini, Andrea Rossetti.
Grotowski era dottore Honoris Causa della De Paul University di Chicago, 1985; Honorary Foreign Member of the American Academy of Arts and Sciences, 1987; è stato insignito del grado di Commandeur dans l’Ordre des Arts et des Lettres, Parigi, 1989; ha ricevuto una Fellowship della MacArthur Foundation, USA, 1991; era Dottore Honoris Causa dell’Università di Wroclaw, Polonia, 1991, della New School for Social Research, New York, USA, 1994, e dell’Università degli Studi di Bologna, 1997; ha ricevuto nel 1994 il Premio Nonino e nel maggio del 1998 gli è stato attribuito il Pegaso d’Oro Straordinario per la Cultura della Regione Toscana. Dal 1996 fu Professore al Collège de France, a Parigi, come titolare della cattedra di Antropologia Teatrale.
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